Carlo Belli

Il volto del secolo

La prima cellula dell'architettura razionalista italiana

 

pp. 192, euro 22

 

 

Quarta

Venne un fuoco a divorarci, per circa dieci anni, a cominciare dal 1926, (ma forse anche prima), e si era una dozzina in principio: subito dopo, il doppio, e verso la fine una cinquantina, ad essere generosi. Ora, sarebbe inutile cercare il perché tale fuoco esplose e divampò nel campo dell’architettura e non delle lettere, per esempio, come era stato per la generazione precedente alla nostra, dico per i giovani del «Leonardo», o della «Voce»; perché nell’architettura e non nella pittura, com’era avvenuto in Francia, dall’impressionismo in poi: oppure nella musica, com’era accaduto in Germania al tempo di Schumann e della Lega dei Fratelli di Davide.

Da molti indizi appare chiaro che codeste accensioni di giovani, codesti ribollimenti di idee, brillano, volta per volta, all’insegna di una differente categoria dell’arte: letteratura, pittura, musica... Ebbene, la nostra cometa fu l’architettura. All’insegna dell’architettura ponemmo l’attività, il costume, lo stesso significato della nostra epoca: o tale, almeno, fu il nostro sogno, la nostra ambizione. E forse per la prima volta, dopo il Rinascimento (o dopo il Barocco?), l’architettura riappariva a illuminare il cammino di una generazione. ...


Risvolto

In questo libro, uscito per la prima volta nel 1988,  Carlo Belli ci restituisce un ritratto sorprendentemente vivido e realistico di una fase cruciale della vita culturale italiana fra la Prima e la Seconda guerra mondiale. L’assunto principale è che ogni grande cambiamento epocale nella civiltà di un popolo si manifesti in primo luogo in campo architettonico: «Le grandi età della storia infatti sono state annunciate tutte da una nuova concezione del costruire: l’architettura romana di contro alla greca; il romanico, il gotico, la rinascenza e il barocco».

Dal 1926, e «per circa dieci anni», un gruppo di giovani architetti facenti capo al Politecnico di Milano – il cosiddetto «Gruppo 7» – propone un manifesto teorico e una serie di progetti che verranno esposti sia in Italia che in varie sedi internazionali, in cui si contemperano una versione radicale del razionalismo in architettura e un richiamo originalissimo alle radici «mediterranee» della nostra tradizione. Gli architetti in questione sono: Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli, quest’ultimo poi sostituito da Adalberto Libera. Si tratta, a quanto dice Belli, dell’ala «perdente» dell’architettura sotto il Fascismo, e la maggior parte delle loro opere ebbe in sorte di restare sulla carta o allo stadio di modellini.

Ma alcune di esse vennero realizzate, ad esempio la celebre Casa del Fascio di Como, progettata da Giuseppe Terragni e condensato ideale di quanto il «Gruppo 7» avrebbe voluto e dovuto realizzare. Questi architetti, attraverso le loro opere realizzate o meno, faranno uscire l’architettura italiana dalle secche del provincialismo per portarla all’avanguardia rispetto all’Europa e al mondo, al punto che quasi nessuno fra gli architetti più celebrati del secondo dopoguerra, italiani e internazionali, può affermare di non aver tenuto conto della loro influenza.

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